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23 Maggio 2025Il ballo delle acciughe di Elena Garbarino
Un sorprendente esordio nella narrativa da Genova a Rio de Janeiro
Arriva in libreria il 30 aprile “Il ballo delle acciughe“, di Elena Garbarino, un sorprendente esordio nella narrativa per questa autrice che ha alle spalle diverse esperienze nella saggistica antropologica e nella scrittura non fiction.
Un’osteria a Rio de Janeiro alla fine dell’Ottocento e il piroscafo Genova che solca i mari con tantissimi giovani uomini nella pancia. Un’ostessa e un finto prete, un giovane di provincia e un anarchico esule. Questi sono i luoghi e i personaggi che incrociano i loro destini in un romanzo che racconta i retroscena della vita degli emigranti italiani in Sudamerica – in particolare dei genovesi in Brasile – durante la prima grande ondata migratoria di massa dall’Italia.
L’osteria della Ginna diventa un punto di riferimento: pescatori nell’animo, i genovesi si comportano come le acciughe. Di fronte ai pericoli, nuotano vicini, formano un pallone, si stringono. Sperano di sembrare un pesce più grande per spaventare i propri predatori. Ma i pericoli, spesso, non sono quelli che si vedono.
“Il ballo della acciughe” di Elena Garbarino con una lingua curata e precisa, ci porta a scoprire con profondità e originalità la storia di un gruppo di emigrati genovesi, intrecciando vicende individuali e dinamiche collettive, memoria e immaginazione, radici e trasformazione.
Il ballo delle acciughe
di Elena Garbarino
Il titolo del romanzo evoca da subito un’immagine potente e simbolica, che racchiude il senso profondo dell’intera opera. «Le acciughe – spiega Garbarino – quando minacciate da un predatore più grande, si uniscono in una massa compatta, simulando un pesce enorme per scoraggiare l’attacco. Ma è proprio così che finiscono per essere catturate dai pescatori. A volte, l’agire in comunità protegge. Altre, espone al pericolo. Chi si salva, forse, è chi sa nuotare in entrambi i modi: nel gruppo e da solo».
L’anno è il 1888, data tutt’altro che casuale: in Brasile viene finalmente abolita la schiavitù con la Lei Áurea, mentre in Italia, unita da pochi decenni, si vivono ancora profonde diseguaglianze, povertà diffusa e un crescente desiderio di riscatto. In questo contesto, migliaia di italiani cercano fortuna altrove, spesso attratti da illusioni di terre fertili e promesse di libertà. Ma dietro la propaganda si nasconde una realtà di sfruttamento e fatica.
«Mi interessava capire – racconta l’autrice – come le grandi svolte storiche, come l’abolizione della schiavitù o l’emigrazione di massa, influissero sulle vite comuni, quotidiane, degli ultimi. Il contesto storico è ricostruito con rigore, ma ciò che ho voluto indagare è l’impatto intimo, personale, delle trasformazioni globali».
Il cuore pulsante del romanzo è l’osteria della Ginna, punto d’incontro e di scontro tra i protagonisti. Un luogo dove si intrecciano storie, si consumano tensioni e si ridefiniscono identità. «È una sorta di “camera di compensazione” – spiega Garbarino – dove il passato e il futuro dei personaggi si toccano. Come ne “Il castello dei destini incrociati” diCalvino, qui i protagonisti parlano poco: i non detti, le espressioni, le azioni, contano più delle parole. L’osteria diventa un vero personaggio, quasi un coro della tragedia greca, dove la saggezza popolare agisce e osserva».
Dalla saggistica alla fiction
Il passaggio dalla scrittura saggistica alla fiction non è stato semplice. «È stato come smantellare un’abitudine. Ma anche una necessità. Avevo bisogno di prendermi la responsabilità della narrazione, dei personaggi, della loro voce». Garbarino ha affrontato il lavoro in solitaria, ma sempre accompagnata dai libri: «La mia “compagnia di scrittura” è stata una libreria a portata di mano. Per esempio, la descrizione fisica della Ginna ho preso ispirazione da quella di Ma di “Furore” di Steinbeck, che mi sembrava un riferimento perfetto, perché anche lui parla di migrazione e di gente comune». Un’altra fonte di ispirazione importante è stata “Ginna de Sampedænna”, romanzo ottocentesco scritto in dialetto genovese e analizzato dal linguista Fiorenzo Toso. «Ho voluto inserirmi in quella tradizione, attingendo da alcuni nomi e passaggi, per poi stravolgerli e costruire un’epica nuova dell’emigrazione genovese. Tra i riferimenti fondamentali, anche “Sull’Oceano” di De Amicis e “La bocca del lupo” di Remigio Zena».
Uno degli aspetti più originali del romanzo è l’uso del dialetto genovese, che attraversa il testo con naturalezza. «Non volevo semplicemente conservare una lingua popolare, ma stratificare la narrazione e connotarla psicologicamente. La Ginna, ad esempio, è il personaggio che più gioca con le lingue, storpia parole straniere, le adatta. Il linguaggio riflette lo stesso comportamento dei personaggi: chi si adatta, sopravvive».
Emigrazione, immaginazione, identità
I protagonisti – un anarchico, un giovane idealista, un finto prete – rappresentano sfaccettature diverse del fenomeno migratorio. «Spesso, quando parliamo di emigrazioni, sia del passato sia del presente, tendiamo a cristallizzare le motivazioni, i cosiddetti push/pull factors: c’è una guerra, le persone fuggono, c’è la crisi economica, le persone vanno a cercare fuori altrove; paesi promuovono politiche di immigrazione e attirano stranieri; comunità straniere vengono tollerate nei paesi di arrivo, dunque fanno immigrare la famiglia.
Ciò che spesso viene ignorato è che gli esseri umani si sono sempre spostati, anche se non ne avevano l’esigenza. Tante volte è semplicemente l’immaginazione a essere il motore che innesca il movimento. La Ginna fugge da una vita che non ha scelto, Carlo vuole cambiare il mondo, Lorenzo scappa dalla monotonia, il battibirba da sé stesso.
Tante delle motivazioni per cui le persone si muovevano nel mondo sono indagate nelle “cartoline”, ovvero i capitoli che inframezzano la narrazione principale. Qui, ho cercato di suggerire e raccontare in maniera estemporanea tante delle numerose esperienze, vere e verosimili, degli emigranti del periodo. Un aspetto che mi ha colpita è l’attività dipropaganda effettuata a livello governativo dal Brasile per attirare emigranti: spingeva proprio sugli aspetti dell’immaginazione delle persone, descrivendo la terra carioca come un Eden a disposizione di tutti, dove chiunque potesse arricchirsi. Si trattava di un modo di metterla un po’ ingannevole, visto che gli immigrati, quasi sempre, finivano per essere sfruttati come manodopera a basso costa nelle fazendas».
Con“Il ballo delle acciughe“, Elena Garbarino ci consegna una storia viva, profonda, capace di raccontare il passato per parlare, indirettamente ma potentemente, al presente. In un momento in cui il tema delle migrazioni torna ciclicamente al centro del dibattito, questo romanzo ci ricorda che muoversi è parte dell’essere umano.

ELENA GARBARINO (Genova, 1994). Si è laureata in Antropologia ed Etnologia presso l’università di Torino. Ha pubblicato con Marco Aime, Bruno Barba e Mara Surace Antropologi tra le righe (Genova University Press, 2020), con Mara Surace Spoiler! Serie tv e giustizia sociale (Meltemi, 2022) e Genova fuori rotta (Bottega Errante, 2023). Il ballo delle acciughe è il suo esordio nella narrativa.
Migrazioni, immaginazioni, storie
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