Scrivere luoghi e storie
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19 Settembre 2023Sillabario veneto
di Paolo Malaguti
Un viaggio sentimentale tra le parole venete che si fanno vive, diventano memoria, intimità, cultura di un popolo.
Le parole che ci accompagnano nell’infanzia, che veicolano carezze, sgridate, scoperte non dovrebbero mai essere dimenticate perché parlano di noi (e noi parliamo di loro) più di ogni altra parola che potremo apprendere in seguito, a scuola, sui libri, al lavoro. È da questa premessa che nasce l’urgenza di raccontare una terra attraverso le sue parole in modo da formare una geografia linguistica, che sfocia nella cultura di un popolo e di un territorio, che si fa concreta e diventa sostanza.
Un libro dove le parole generano storie, evocano immagini e persone, aprono porte inaspettate nella linea della trama.
Si inizia con Amia (zia, preferibilmente paterna) per arrivare a Zagheto (chierichetto), un cammino di scoperta e riscoperta che passa per l’eccesso d’allegria del Boresso, attraversa l’ovattata nebbia del Caigo, ascolta le voci delle riunioni serali del Filò e riflette su una delle parole più usate in Veneto: Schei.
«Che, però, il parlare italiano fosse, nella mia famiglia, un’operazione in ultima analisi artificiale, razionale e composta, lo si capiva durante le frequenti sgridate. Allora la mamma, in barba ai suoi principi pedagogici, non gridava, ma sigava, e non menava sculacciate e scapaccioni, bensì manruersi, crogne, slepe, stramusoni e simili. Quindi, in ultima analisi, posso dire che il mio sedere ha imparato il veneto prima del mio cervello». Paolo Malaguti
Ricordo che quando accennai per la prima volta di questo progetto all’editore Ferruccio Mazzariol, lui si dimostrò un po’ scettico, perché, diceva, ci sono in giro già tanti dizionari veneto-italiano. Quando però gli ho mandato i primi capitoli (il primo in assoluto fu quello dedicato alla parola “ratatuia”) cambiò opinione, e mi accompagnò in quell’avventura con saggezza e profondità di consigli.
L’idea che sta alla base del Sillabario veneto è in fin dei conti semplice: le parole sono degli scrigni, dei reliquiari preziosi, e al loro interno possono contenere due importantissimi tesori.
Il primo tesoro è linguistico, etimologico: scavare dentro una parola significa scavare nella storia di una comunità, nei suoi scambi, nelle sue contaminazioni. E quindi la già citata “ratatuia” rimanda al francese delle invasioni napoleoniche, i “schei” alla dominazione austriaca, il “gnoco” ai longobardi, i “bagigi” all’arabo…
Il secondo (e forse più importante) tesoro, è affettivo. Le parole parlano di noi, della nostra famiglia. Sono vere radici, a volte piacevoli da riscoprire, altre volte dolorose. Ma comunque sono lì, e se non ci prendiamo il tempo per fare questo esercizio di memoria, corriamo il rischio di perderle per sempre, e di appiattirci su un italiano medio (anzi, mediatico) così semplice da risultare povero.
Non voglio rivendicare presunte superiorità di una lingua regionale su un’altra o sull’italiano stesso, e non mi piace nemmeno tanto l’idea di insegnare il veneto nelle scuole (credo che lo si imbalsamerebbe e si farebbe in ultima analisi un’operazione antistorica). Però credo che sia altrettanto sbagliato perdere, dimenticare le proprie radici linguistiche, o addirittura provare vergogna per esse. Spero quindi che chi vorrà leggere il Sillabario veneto possa trarne spunto per partire (o ripartire) alla ricerca delle “sue parole” dell’affetto. Sarà un viaggio carico di sorprese e belle scoperte.
L'autore
PAOLO MALAGUTI Nato a Monselice (Padova) nel 1978, è autore di Sul Grappa dopo la vittoria (Santi Quaranta 2009, 11 edizioni), Sillabario veneto (Santi Quaranta 2011, 7 edizioni), I mercanti di stampe proibite (Santi Quaranta 2013, 2 edizioni) La reliquia di Costantinopoli (Neri Pozza 2015, finalista al Premio Strega), Nuovo sillabario veneto (BEAT 2016), Prima dell’alba (Neri Pozza 2017), Lungo la Pedemontana. In giro lento tra storia, paesaggio veneto e fantasie (Marsilio 2018) e L’ultimo carnevale (Solferino 2019). Per Einaudi ha pubblicato Se l’acqua ride (2020), entrato nella cinquina del Premio Campiello 2021, Il Moro della cima (2022, Premio Mario Rigoni Stern), Piero fa la Merica (2023).