Nebbia e chiaro di luna
12 Maggio 2023L’arte dell’essenziale
12 Maggio 2023Fiabe e leggende del Lago di Garda
La nuova raccolta di Laura Simeoni
Arriva in libreria Fiabe e leggende del Lago di Garda di Laura Simeoni impreziosito dalle evocative illustrazioni di Chiara Tomasi per la collana “I ciclamini” di Santi Quaranta.
Un libro per piccoli e grandi lettori che ci porta sulle tracce di antichi miti, misteriose leggende, eventi storici dimenticati che hanno per protagonista il Lago di Garda e le sue sponde.
La raccolta segue il contorno del lago dal nord trentino alla sponda orientale veneta per finire con quella occidentale lombarda. Ogni località è densa di storie, memorie, novelle tutte da scoprire.
Sirene e anguane, ninfe e giganti, streghe e fantasmi senza testa, folletti e draghi, pesci che si nutrono di polvere d’oro, scorrono accanto a personaggi famosi come Catullo, Goethe e D’Annunzio, in un intreccio giocoso di tradizione e creazione narrativa.
Un libro per piccoli e grandi lettori che ci porta sulle tracce di antichi miti, misteriose leggende, eventi storici dimenticati che hanno per protagonista il Lago di Garda e le sue sponde.
La raccolta segue il contorno del lago dal nord trentino alla sponda orientale veneta per finire con quella occidentale lombarda. Ogni località è densa di storie, memorie, novelle tutte da scoprire.
Sirene e anguane, ninfe e giganti, streghe e fantasmi senza testa, folletti e draghi, pesci che si nutrono di polvere d’oro, scorrono accanto a personaggi famosi come Catullo, Goethe e D’Annunzio, in un intreccio giocoso di tradizione e creazione narrativa.
Buona lettura!
I limoni e il segreto di lunga vita
Sulla sponda del lago c’era una volta un paese senza nome. O meglio, gli abitanti lo chiamavano Limen, parola che in latino significa confine: per loro era la soglia al di là della quale il mondo finiva. Protetto dai monti alle spalle, isolato da tutto, lo si poteva raggiungere soltanto in barca oppure scendendo ripidi sentieri montani. Non c’erano strade e i visitatori erano rari: eccentrici viandanti, nobili e poeti che nel loro viaggio in Italia solcavano le acque del grande lago.
La vita scorreva tranquilla e sempre uguale nel paesino dove gli abitanti sopravvivevano a stento, da poveri pescatori, con le imbarcazioni sempre al largo, di giorno e di notte. Ai margini del paese, al limitare del bosco e delle ripide pareti che si alzavano verso la montagna, lavorando di gran lena tutti insieme, erano riusciti a ricavare dei minuscoli orticelli.
Era dura la vita per gli abitanti di Limen. Cosa si poteva fare per cambiarla? Riva del Garda a nord, Salò a sud, Malcesine sull’altra sponda del lago, sembravano lontani anni luce.
“Là sì che si sta bene, ci sono tavole sempre imbandite, un viavai continuo di gente, si canta e si balla tutto il giorno”.
La piccola Francesca fantasticava sui racconti che i pochi viaggiatori avevano fatto alla locanda del paese. I suoi pensieri volavano lontano, mentre con tutte e due le mani cercava di tenere in equilibrio l’annaffiatoio per donare un po’ d’acqua all’insalata striminzita.
Il secchio affidatole dalla mamma era pesante e lei magrolina. Però non si era ribellata come faceva di solito, sbuffando e protestando. Da qualche giorno la nonna era malata, se ne stava sempre a letto, non scendeva neppure per mangiare la minestra che le piaceva tanto. Francesca era preoccupata.
Sua nonna era sempre stata vivace, instancabile, lavorava e non si fermava mai, quando non era in cucina a preparare i piatti che solo lei sapeva creare con quel poco che c’era in dispensa, stava nell’orto a curare la verdura, o raccoglieva la frutta matura, o dava da mangiare alle galline che scorrazzavano in cortile.
Sempre con il sorriso, scherzava su tutto, anche sui suoi malanni.
«È l’età, nipotina cara, cosa vuoi farci, la vecchiaia è una brutta malattia». E scoppiava in una risata che allontanava tutte le nubi scure. Quella volta però era diverso. La nonna non reagiva.
«Sono stanca, voglio andare». Così l’aveva sentita sfogarsi la sera prima con un’amica che era venuta a trovarla.
“Via? Ma dove vuole andare? Forse in un altro paese più bello di questo, forse vuole andarsene lontano da noi?”. Francesca pensava e ripensava alle parole della nonna. Magari aveva ragione, dovevano andarsene tutti e trovare un posto migliore.
«Attenta che cadi e rischi di fare pasticci!».
Una voce la fece sobbalzare. Sembrava uno squittio sottile di qualche animale. Proveniva dai rami più alti del rovere su cui si era arrampicata tante volte e da cui era pure caduta sbucciandosi un ginocchio.
«Chi ha parlato? Che razza di scherzo è?».
Alzando la testa vide una macchia rossastra che si muoveva zigzagando tra i rami, scendendo veloce verso di lei.
«Uno scoiattolo!».
Francesca si stropicciò gli occhi, fece un respiro profondo.
Forse la sua immaginazione stava davvero correndo troppo. La nonna la chiamava “la sognatrice” oppure “la fata degli animali”, a seconda dell’estro.
Perché lei li amava davvero tutti: dai cervi volanti alle api, dai topolini alle bisce, dalle rondini alle caprette.
E se ne trovava qualcuno ferito, faceva di tutto per guarirlo.
«Ciao, bimba dagli occhi belli come il legno del bosco, lo sai che la malinconia li tinge di nebbia? Ti conosco e ti ho visto aiutare i miei amici, hai guarito ali spezzate e zampe ferite dalle tagliole».
Ma allora lo scoiattolo parlava davvero!
Francesca si riscosse e osservò con attenzione l’animale che aveva di fronte. Qualcosa non quadrava. Sì, c’erano le orecchie con i ciuffetti, la coda arruffata a punto interrogativo, le zampette agili eppure… quello sguardo così birichino… E poi gli scoiattoli non parlano!
«Non è che per caso sei un folletto?».
SWISH! ZUM!
«Ah ah ah! Mi hai scoperto!».
Due giravolte, un salto e tre risate bastarono allo scoiattolo per trasformarsi in un omino piccolo piccolo, tutto vestito di rosso. In testa portava un berretto più grande di lui, un po’ floscio, e ai piedi grossi zoccoli di legno.
«Tu sei il Squass!» gridò Francesca, mentre il folletto balzava a terra per poi correre come un fulmine verso il bosco.
«Seguimi, ho una sorpresa per te» disse con la voce sottile che si perse nel vento.
Francesca si lanciò all’inseguimento, non le era mai capitato di incontrare un folletto, anche se la nonna era sicura di averne visto uno una sera, tornando a casa dalla fontana.
L’avevano presa in giro finché non ne aveva parlato più.
«La nonna aveva ragione… Ma dov’è andato a finire?».
Il piccolo essere fatato sembrava scomparso nel nulla.
«Ahi, che male!».
«Esagerata, è solo una noce».
Il folletto era seduto con le gambe a penzoloni sul ramo di un albero, proprio sopra di lei.
I folletti non sono cattivi ma amano gli scherzi, e diventano pericolosi solo se incrociano qualcuno dall’anima nera, che fa del male ai loro simili e non rispetta piante e animali. Le persone così è meglio che si tengano alla larga…
«Lo so che sei preoccupata per la tua nonnina, la conosco sai? L’ho incrociata una volta alla fontana e mi ha sorriso».
Con un balzo il folletto saltò giù dal ramo, prese per mano Francesca e la portò nel folto del bosco, là dove una quercia centenaria alzava le fronde al cielo. Bastò un leggero tocco perché il tronco si aprisse lasciando sgusciare dentro l’essere fatato. Tornò qualche secondo dopo con una cestina di frutta gialla dalla buccia rugosa, che la bambina non aveva mai visto prima.
«Sono limoni e il loro succo è potente, vedrai che la tua nonnina guarirà presto se ne berrà un bicchiere ogni mattina».
Le raccontò la storia di quel frutto nato in terre lontane e portato fin lì dalle Esperidi, le ninfe custodi del giardino degli dei. I fiori del limone hanno il loro dolce profumo.
«Sono nostre amiche e sono ancora tra noi, trasformate in olmi, pioppi e salici!» disse il folletto sorridendo.
Poi rientrò nella cavità del grande albero. Ne uscì con una piantina in mano: aveva foglie grandi e verdi, e attaccati ai rametti altri limoni.
«Puoi piantare i semi nel tuo orto, ma bada bene di proteggere le piantine dal freddo perché sono molto sensibili. Amano il sole e odiano il vento. Chiedi al tuo papà di costruire una bella casetta che possa coprirle d’inverno, e vedrai come cresceranno alte e forti».
Così fu.
La vita scorreva tranquilla e sempre uguale nel paesino dove gli abitanti sopravvivevano a stento, da poveri pescatori, con le imbarcazioni sempre al largo, di giorno e di notte. Ai margini del paese, al limitare del bosco e delle ripide pareti che si alzavano verso la montagna, lavorando di gran lena tutti insieme, erano riusciti a ricavare dei minuscoli orticelli.
Era dura la vita per gli abitanti di Limen. Cosa si poteva fare per cambiarla? Riva del Garda a nord, Salò a sud, Malcesine sull’altra sponda del lago, sembravano lontani anni luce.
“Là sì che si sta bene, ci sono tavole sempre imbandite, un viavai continuo di gente, si canta e si balla tutto il giorno”.
La piccola Francesca fantasticava sui racconti che i pochi viaggiatori avevano fatto alla locanda del paese. I suoi pensieri volavano lontano, mentre con tutte e due le mani cercava di tenere in equilibrio l’annaffiatoio per donare un po’ d’acqua all’insalata striminzita.
Il secchio affidatole dalla mamma era pesante e lei magrolina. Però non si era ribellata come faceva di solito, sbuffando e protestando. Da qualche giorno la nonna era malata, se ne stava sempre a letto, non scendeva neppure per mangiare la minestra che le piaceva tanto. Francesca era preoccupata.
Sua nonna era sempre stata vivace, instancabile, lavorava e non si fermava mai, quando non era in cucina a preparare i piatti che solo lei sapeva creare con quel poco che c’era in dispensa, stava nell’orto a curare la verdura, o raccoglieva la frutta matura, o dava da mangiare alle galline che scorrazzavano in cortile.
Sempre con il sorriso, scherzava su tutto, anche sui suoi malanni.
«È l’età, nipotina cara, cosa vuoi farci, la vecchiaia è una brutta malattia». E scoppiava in una risata che allontanava tutte le nubi scure. Quella volta però era diverso. La nonna non reagiva.
«Sono stanca, voglio andare». Così l’aveva sentita sfogarsi la sera prima con un’amica che era venuta a trovarla.
“Via? Ma dove vuole andare? Forse in un altro paese più bello di questo, forse vuole andarsene lontano da noi?”. Francesca pensava e ripensava alle parole della nonna. Magari aveva ragione, dovevano andarsene tutti e trovare un posto migliore.
«Attenta che cadi e rischi di fare pasticci!».
Una voce la fece sobbalzare. Sembrava uno squittio sottile di qualche animale. Proveniva dai rami più alti del rovere su cui si era arrampicata tante volte e da cui era pure caduta sbucciandosi un ginocchio.
«Chi ha parlato? Che razza di scherzo è?».
Alzando la testa vide una macchia rossastra che si muoveva zigzagando tra i rami, scendendo veloce verso di lei.
«Uno scoiattolo!».
Francesca si stropicciò gli occhi, fece un respiro profondo.
Forse la sua immaginazione stava davvero correndo troppo. La nonna la chiamava “la sognatrice” oppure “la fata degli animali”, a seconda dell’estro.
Perché lei li amava davvero tutti: dai cervi volanti alle api, dai topolini alle bisce, dalle rondini alle caprette.
E se ne trovava qualcuno ferito, faceva di tutto per guarirlo.
«Ciao, bimba dagli occhi belli come il legno del bosco, lo sai che la malinconia li tinge di nebbia? Ti conosco e ti ho visto aiutare i miei amici, hai guarito ali spezzate e zampe ferite dalle tagliole».
Ma allora lo scoiattolo parlava davvero!
Francesca si riscosse e osservò con attenzione l’animale che aveva di fronte. Qualcosa non quadrava. Sì, c’erano le orecchie con i ciuffetti, la coda arruffata a punto interrogativo, le zampette agili eppure… quello sguardo così birichino… E poi gli scoiattoli non parlano!
«Non è che per caso sei un folletto?».
SWISH! ZUM!
«Ah ah ah! Mi hai scoperto!».
Due giravolte, un salto e tre risate bastarono allo scoiattolo per trasformarsi in un omino piccolo piccolo, tutto vestito di rosso. In testa portava un berretto più grande di lui, un po’ floscio, e ai piedi grossi zoccoli di legno.
«Tu sei il Squass!» gridò Francesca, mentre il folletto balzava a terra per poi correre come un fulmine verso il bosco.
«Seguimi, ho una sorpresa per te» disse con la voce sottile che si perse nel vento.
Francesca si lanciò all’inseguimento, non le era mai capitato di incontrare un folletto, anche se la nonna era sicura di averne visto uno una sera, tornando a casa dalla fontana.
L’avevano presa in giro finché non ne aveva parlato più.
«La nonna aveva ragione… Ma dov’è andato a finire?».
Il piccolo essere fatato sembrava scomparso nel nulla.
«Ahi, che male!».
«Esagerata, è solo una noce».
Il folletto era seduto con le gambe a penzoloni sul ramo di un albero, proprio sopra di lei.
I folletti non sono cattivi ma amano gli scherzi, e diventano pericolosi solo se incrociano qualcuno dall’anima nera, che fa del male ai loro simili e non rispetta piante e animali. Le persone così è meglio che si tengano alla larga…
«Lo so che sei preoccupata per la tua nonnina, la conosco sai? L’ho incrociata una volta alla fontana e mi ha sorriso».
Con un balzo il folletto saltò giù dal ramo, prese per mano Francesca e la portò nel folto del bosco, là dove una quercia centenaria alzava le fronde al cielo. Bastò un leggero tocco perché il tronco si aprisse lasciando sgusciare dentro l’essere fatato. Tornò qualche secondo dopo con una cestina di frutta gialla dalla buccia rugosa, che la bambina non aveva mai visto prima.
«Sono limoni e il loro succo è potente, vedrai che la tua nonnina guarirà presto se ne berrà un bicchiere ogni mattina».
Le raccontò la storia di quel frutto nato in terre lontane e portato fin lì dalle Esperidi, le ninfe custodi del giardino degli dei. I fiori del limone hanno il loro dolce profumo.
«Sono nostre amiche e sono ancora tra noi, trasformate in olmi, pioppi e salici!» disse il folletto sorridendo.
Poi rientrò nella cavità del grande albero. Ne uscì con una piantina in mano: aveva foglie grandi e verdi, e attaccati ai rametti altri limoni.
«Puoi piantare i semi nel tuo orto, ma bada bene di proteggere le piantine dal freddo perché sono molto sensibili. Amano il sole e odiano il vento. Chiedi al tuo papà di costruire una bella casetta che possa coprirle d’inverno, e vedrai come cresceranno alte e forti».
Così fu.
Della stessa autrice è uscito Fiabe e leggende del Piave.
Il Piave è il più grande fiume veneto, nasce sopra Sappada, ora in Friuli Venezia Giulia, e si getta nel Mar Adriatico. Laura Simeoni segue, dalle sorgenti alla foce, il corso d’acqua che spicca come creatura bizzosa e umorale, drammatica ma anche umana, perfino innamorata, e focalizza le terre che il fiume attraversa, gli uomini e gli animali, le colture. Fiabe e leggende del Piave è un viaggio fra memoria, fantasia e leggenda. Un libro che giunge alla sesta edizione e che raccoglie ventitré racconti impreziositi dalle illustrazioni di Ivo Feltrin.