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26 Aprile 2024Capire il confine
Giustina Selvelli indaga con sguardo da antropologa la frontiera di Gorizia e Nova Gorica
La collana “le metamorfosi”, curata da Martina Napolitano, si arrichisce del nuovo libro di Giustina Selvelli Capire il confine. Gorizia e Nova Gorica: lo sguardo di un’antropologa indaga la frontiera, un’indagine sulla frontiera, su un confine, su un margine sempre in movimento, contraddittorio, instabile, vivo. In Capire il confine, l’antropologa Giustina Selvelli sovrappone la sua biografia personale, intima e soggettiva, alla storia della frontiera, delle genti che la abitano, delle politiche che la fanno sparire e poi riemergere a seconda dei casi. Uno sguardo su Gorizia e Nova Gorica che tocca diversi periodi: dalla cortina di ferro all’eliminazione delle dogane, dalla rete divisoria durante la pandemia di Covid-19 alla sospensiоne dei trattati di Schengen sulla libera circolazione di persone e merci, dalla rotta balcanica alla vittoria della Capitale europea della Cultura 2025.
Un resoconto appassionante e documentato che getta luce su aspetti socioantropologici emblematici per comprendere che cosa significa abitare una terra di frontiera.
Capire il confine è dedicato a studiosi, curiosi, turisti e appassionati della frontiera orientale, e di tutte le frontiere in generale. Corredato da capitoli di approfondimento, mappe, cronologie, per consentire di navigare dentro la complessità delle terre del Goriziano italiano e sloveno nella loro affascinante attualità.
La mia frontiera, quella che ho abitato e percorso sin dalla primissima infanzia, e di cui ho preso coscienza soltanto con il passare degli anni: è da qui che si parte per indagare i margini, non più solo solchi di divisione, ma territori di identità molteplici, esempi della migliore Europa.
Il potenziale trasformativo del confine: un patrimonio sconosciuto
Giustina Selvelli racconta il ritorno a casa
Se qualcuno a inizio 2020 mi avesse pronosticato che nel 2024 il baricentro della mia vita sarebbe coinciso – e già da un po’ di tempo – con l’ampio confine goriziano, e che in quello stesso anno avrei pure pubblicato un libro dedicato a tali luoghi, onestamente non gli avrei creduto, e in ogni caso non l’avrei presa molto bene. Ma come: da quasi una dozzina di anni, dal periodo della mia post-adolescenza tentavo di evitare in maniera più o meno radicale quei luoghi “marginali” che, ai miei occhi, sembravano aver esaurito qualsiasi potenziale trasformativo; ero scappata in svariati paesi europei, in Turchia e persino oltreoceano pur di rifuggire dall’immagine provinciale di me stessa che tali territori mi restituivano, ineluttabilmente.
Tuttavia, proprio quando mi stavo accingendo a partire (e per sempre, speravo!), nel 2008, era successo qualcosa: avevo convinto i miei genitori a adottare dal paesino di Sdraussina, di minoranza slovena, due gatti che da allora avremmo affettuosamente definito come “gatti di confine” o “gatti sloveni”. Da un lato, era solo un modo di scherzare fra di noi, e ogni volta che provavo ad immaginare i miei gatti come sloveni, seppure lo volessi realmente (!), la mia mente entrava in una specie di cortocircuito: quale identità etnica o linguistica poteva mai possedere un gatto? Dall’altro, il rebus sulla determinazione identitaria dei felini si sarebbe tramutato con il tempo in una sorta di simulacro dell’appartenenza indefinibile della (e alla) mia regione natìa, portandomi a riflettere sulla limitatezza delle categorie nazionali, e sulla necessità di affermare la vocazione plurima di tali territori (così come la mia).
Non escludo che siano stati anche i gatti a richiamarmi a sé mettendo in atto qualche abile sortilegio, ma di certo il Covid ha giocato il ruolo principale, e suppongo di doverlo ringraziare per molte cose, soprattutto per avermi resa protagonista di situazioni a dir poco surreali nel momento in cui dovevo iniziare un nuovo lavoro in Slovenia, a qualche metro dal valico di italiano, e per avermi fatto capire quanto ci tenessi alle sorti di quella terra di frontiera, nei cui bizzarri interstizi sopravvive la vera speranza per l’Europa del futuro. Pertanto, senza il Covid questo libro non sarebbe mai esistito.
Così come il Covid, anche i confini sono tragici, ma in un certo senso, è un bene che esistano, per spronare le persone a superarli e trasgredirli, ingegnandosi nel dare vita a fenomeni socioculturali assolutamente unici e fuori dall’ordinario. Troppo spesso, però, questo patrimonio indomito rimane del tutto sconosciuto: in questo libro, ho cercato di rendere omaggio alla sua complessità, alle sue contraddizioni, e a tutto ciò che mi ha insegnato.
Giustina Selvelli
GIUSTINA SELVELLI Ricercatrice post-doc all’università di Ljubljana. Antropologa e sociolinguista, si occupa di minoranze etniche, ecologia e nazionalismo nello spazio del Sudest europeo. È autrice di una trentina di articoli accademici e delle monografie The Alphabet of Discord (Ibidem, 2021) sui sistemi di scrittura balcanici e Language Attitudes, Collective Memory and (Trans)National Identity Construction Among the Armenian Diaspora in Bulgaria (Peter Lang, 2024) sulla diaspora armena in Bulgaria. È una delle autrici del volume Capire i Balcani occidentali (Bottega Errante, 2021). Collabora attivamente con l’Associazione Meridiano 13 scrivendo articoli di divulgazione.
Scopri la collana Le metamorfosi
Bottega Errante Edizioni ha pensato a le metamorfosi come uno strumento pratico per lettori e lettrici per capire i paesi che attraversiamo con le narrazioni, le lingue, la politica e l’economia, la tutela ambientale e i fenomeni sociali che li caratterizzano e che ci riguardano. Una collana a cura di Martina Napolitano con firme prestigiose di giovani ricercatori e giornalisti che si occupano con passione dei Balcani e di tutto quanto ci ruota intorno.